MICROIMPRESE E FORMAZIONE: LA
SOLUZIONE PER IL SUD?

di Michele Gulletta

Vi proponiamo un articolo di Michele Gulletta ( email e profilo LinkedIn) che tratta due temi di grande attualità relativi al tessuto industriale del Sud: le microimprese e la formazione

microimpresa

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Introduciamo la rivoluzione cominciando dal basso e non è populismo.

MICROIMPRESE (MI)

Questa tipologia di aziende (da 1 a 9 occupati e < 2 Mln di € di vol. annui) costituisce non solo per tradizioni e culture, ma anche numericamente, l’ossatura portante dell’economia italiana (95% delle imprese e il 45% della forza lavoro) (1).

Le MI sono gli autonomi, artigiani, commercianti, piccole aziende agricole e di servizi, operose radicate nel territorio, con un ruolo fondamentale nel contribuire allo sviluppo locale (Made in Italy). Oggi, le imprese bonsai, sono confinate nei ristretti mercati locali e, stentando a sopravvivere, appassiscono. In Puglia sono ca 230.000 e occupano 443.000 dip, con oltre il 50% del totale (1).

FORMAZIONE CONTINUA (FC)

Il legislatore nel licenziare la L.236/93 ha colto bene il problema: la carenza culturale può essere causa della perdita del lavoro, del difficile ricollocamento e ostacolo allo sviluppo dell’impresa. Ma, l’obiettivo della legge è stato raggiunto? Io penso di no. Questa convinzione deriva dalla personale esperienza per aver operato per oltre 15 anni nella FC.

Le MI versano alla FC ca 23 Mln € che rappresentano oltre il 50% del monte contributi pugliese, ma ne usufruiscono solo per il 18% (media nazionale) (1), al Sud il tasso è molto più basso a causa:

  • della insufficiente informativa e sensibilizzazione da parte dei sindacati e dei datori di lavoro;
  • della dimensione dell’aula (4-5 dip.);
  • della percezione come non necessaria, ma come una perdita di tempo;
  • della costante lotta per sopravvivere

Oggi, almeno il 35 % di tali risorse viene trattenuto dallo Stato per altri scopi (sostegno al reddito, ammortizzatori sociali, ecc.)(2), oltre ai costi per la gestione dei Fondi Interprofessionali, ne residuano, quindi, meno del 50%.

Ragionando per assurdo, se si utilizzassero tutti i contributi versati dalle MI, sarebbe possibile erogare per ognuno dei 443.000 lavoratori più di 40 h/anno di formazione con tutti i costi coperti!
Un bell’andare.

Guardiamo alle esperienze in alcuni Paesi europei, in particolare:

  • in Svizzera: la rete di aziende formatrici è un’unione di aziende che non sono in grado o preferiscono non dover offrire una formazione professionale di base da sole. Le aziende della rete sono complementari nelle loro attività e insieme possono quindi garantire una formazione integrale nella pratica professionale (responsabile è il Cantone).
    Garanzia della qualità: la QualiCarte comprende 28 indicatori di qualità che descrivono le tappe principali della formazione in azienda, è interdisciplinare ed è adatta soprattutto all’autovalutazione.
    Da noi: Le RETI, buone per la pesca; la QUALITÀ e L’AUTOVALUTAZIONE, perfette sconosciute, almeno a questo livello;
  • In Germania, la FC è "regolamentata" e si riferisce al fatto che questi programmi di formazione sono basati su atti (nazionali) che regolano la portata, il contenuto, gli obiettivi e gli esami dei programmi (ad esempio, maestri artigiani, amministratore aziendale, operaio specializzato).
    Gli studenti non fanno tre mesi di vacanza, rimangono nelle imprese ad apprendere, al mare vanno quando le aziende chiudono, questo l’ho constatato personalmente 60 anni fa.
    Da noi: chi guarda i PROGRAMMI? chi li CONTROLLA? Una letterina standard del sindacato, cos’altro? Niente, solo carte;
  • in Francia la Formation Continue è un “obbligo nazionale”, (codice del Lavoro). La sua realizzazione è legata allo status della persona. Prevede il finanziamento della formazione in sé e la remunerazione o indennizzo della persona durante lo svolgimento della stessa. È accessibile sia alle persone in attività che alle persone alla ricerca d’impiego, giovani o adulti, tramite vari dispositivi.
    QUESTO E’ RAGIONARE!
    Da noi: pagano le IMPRESE (mancato lavoro) e i LAVORATORI (0,30%): tutti pagano ma pochissimi ne godono

Prendiamole ad esempio, ma attenzione: “Copiare è facile copiare bene è difficile” (Giappone docet).

L’INFRASTRUTTURA

E’ facile progettare grandi opere infrastrutturali: di strade e ponti ne abbiamo già tanti, piuttosto facciamo bene le manutenzioni.

In Puglia, nel versante adriatico, corrono parallele un’autostrada e due superstrade a doppia corsia e a pochi chilometri tra loro. Ci si potrebbe scambiare saluti con la manina. L’autostrada Bari - Taranto è pochissimo frequentata, si preferisce la superstrada. E che dire dell’infrastruttura informativa della tangenziale di Bari realizzata (costo 10 mln) per regolare il traffico previsto per i mondiali di calcio del 1990, lo stadio mai pieno. Oggi l’ANAS diffonde messaggi: ”Le cinture e casco salvano la vita” ecc., va bene ricordarlo, ma c’è modo e modo. La città cablata, progetto costato milioni, poi abbandonato.

Un caro amico e collega di Varese, girando per le strade della Puglia, è rimasto scandalizzato per quante buone strade abbiamo e per il nuovo stadio S. Nicola costato 130 mln. di euro: “Ecco dove finiscono i soldi del nord, a Milano abbiamo ristrutturato S. Siro”. Se l’autostrada Milano-Varese è bloccata per lavori o incidente, bisogna attraversare una miriade di piccoli centri urbani collegati da strade dove due tir si sfiorano. Noi abbiamo le tangenziali.

E, non parliamo del ponte sullo stretto di Messina, costo ca 4 mld di euro (300 mln già spesi) ma, pur essendo messinese, mi chiedo se serva proprio, forse a Ferragosto sì, ma vale tanti soldi? Occorre altro per la Sicilia.

Milioni buttati al vento, quali benefici per la collettività? Attese e debiti. Ah! Eccoli, sono quelli che ogni cittadino ha dalla nascita sulla sua testa: ca 40.000 euro. Il bello è che lui non lo sa e quando la cambiale scadrà, ne vedremo delle belle...no, scusate, di ufficiali giudiziari!

Di cattedrali nel deserto ne abbiamo già tante in crisi, con notevoli danni per la finanza pubblica, l’ambiente e la collettività. Qualche esempio in Puglia: il distretto del mobile imbottito di Altamura, Santeramo in Colle, Grumo Appula, il siderurgico a Taranto, l’industria chimica a Manfredonia., il Tessile, abbigliamento e calzaturiero diffuso in tutta la regione.

Va bene, mi fermo, ma questo è solo uno spaccato di quanto succede negli altri 146 Comuni italiani con oltre 50.000 abitanti.

E si parla di “sblocca cantieri”, quasi come se così si risolvesse il problema. Magari qualche opera va fatta, ma andiamoci piano, deve servire da volano (produrre) e da salva-vite, troppe se ne perdono. Piuttosto, pensiamo a far crescere le competenze, che è cosa ben più ardua, forse meno elettorale, ma senz’altro di una importanza strategica ormai non più procrastinabile.

L’ISTAT in una proiezione al 2066 valuta in 5 mil. di cittadini che potranno andar via dal Sud! Da regione più giovane diventeremo la più anziana! (3). Fermiamoli.

INFRASTRUTTURA SOCIO-ECONOMICA (IN.SEC)

L'infrastruttura socio-economica a cui penso, sarà un unicum tra Scuola per la formazione di base, la Formazione Tecnica Superiore FTS, che specializza i neo diplomati (19-20), l’Università, (anni 19-21), che forma il middle management e i futuri manager. Queste istituzioni pubblico-private, oggi chiuse su se stesse e al riparo dalle cogenti problematiche della vita, dispongono di strutture logistiche, tecnologiche e professionali importanti e consolidate: valorizziamole.

Non si chiede di modificare piani e programmi curriculari, tutt’altro, è necessario integrare le conoscenze sulla matematica, la trigonometria, i romani, Platone, Socrate, ecc. con le regole della vita fuori dai banchi: il denaro, il lavoro, la società. Non è possibile uscire dai banchi a 18 o 22 anni con tanti sogni e andare a sbattere contro il duro muro del mondo reale. Da qui alla fuga, alla droga, all’emarginazione...la strada è breve.

L’IN.SEC sarà una rete - la maillage molto cara ai francesi - tra istituzioni pubbliche amministrative e formative, esperti, professionisti, imprese profit e non profit.

Una Welfare Community che farà da “fucina” per forgiare il “capitale umano” necessario e sufficiente a produrre l’economia di scala - servizi integrati e specializzati - indispensabili per affrontare i più vasti mercati globali. Attraverso la “Glocalizzazione” (Bauman) (4) sarà possibile attivare e sostenere lo sviluppo locale e, quindi, dell’intera comunità. Senza l’export ci sarà solo recessione: pian piano, ma poi non tanto, le nostre piccole imprese si ridurranno ad un pugno di mosche.

L’ IN.SEC inoltre, saprebbe incoraggiare ed accompagnare le iniziative profit – non profit (organizzazioni ibride) innovative e sostenibili, le sole in grado di trattenere al Sud gli under 30 più intraprendenti e svegli. E’ necessario, però, dare una solida base ai tre pilastri (fattori abilitanti) per una loro crescita al riparo dagli attacchi della globalizzazione: nascita assistita (diagnosi precoce) – sviluppo armonico (miglioramento continuo) – eccellenza (assessment).

L’ IN.SEC e i benefici diretti:

  • educazione al lavoro;
  • avvio e accompagnamento al lavoro;
  • sostegno alle start-up innovative;
  • sviluppo locale;
  • pianificazione e controllo degli incentivi: a “goccia”

I nostri politici, in eterna campagna elettorale (74 anni, 66 governi), hanno fretta: pioggia di contributi spesso inutili e dispersivi. Con una legge e qualche decreto, si pretende di risolvere il problema dei problemi: disoccupazione e sviluppo. Altro che “navigator” qui ci vuole un transatlantico! La gatta frettolosa …

Si pensa in termini di centinaia di posti di lavoro (PL) in un colpo solo. Oltre a costare tanti soldi (intorno ai 300.000 euro a PL) vi sono i possibili danni indotti (premorienza, inquinamento ambientale, fuga di imposte, occupazione poco qualificata, ecc.).
Cominciamo dal basso, non che sia più semplice, ma una volta tanto costruiamo basi solide e facciamo bene i conti: in agricoltura ne occorrono anche meno di 100.000 euro per PL. Tanti i vantaggi per il secondo welfare: prodotti a Km 0, benessere alimentare, qualità ambientale e paesaggistica, integrazione fasce deboli, rigenerazione dei piccoli centri urbani, orti urbani e periurbani, agricivismo, agricoltura naturale e permacoltura, incremento fiscalità locale, coinvolgimento degli stakeholders, ecc.

Il piano dovrà interessare l’intera comunità: istituzioni, famiglie, professionisti, esperti, il terzo settore, insomma un esercito pronto a dare battaglia all’ignoranza, al clientelismo, all’arrivismo, all’ approssimazione. Non è facile e gli ostacoli non mancano, ma questa è la strada maestra: l’economia della conoscenza. Salverà oltre che i giovani di oggi anche figli e nipoti di domani. Durerà un lustro, non importa, poi si reitererà sempre con maggiore efficacia. Per dirla con Frank Schatzing: "La scienza è l’arte dell’approssimazione".

(1) Il Censimento dell’industria e dei servizi 2011 - ISTAT

(2) XVI Rapporto sulla Formazione continua - Annualità 2014 – 2015

(3) Sussidiarietà e … giovani al Sud. Rapporto sulla sussidiarietà 2017/18

(4) https://it.wikipedia.org/wiki/Glocalizzazione

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